MY DYING BRIDE - The Angel And The Dark River (Peaceville 1995)
MAI LETTO NULLA DI PEGGIO. POI SI CHIEDONO COME MAI I GRUPPI BLACK BRUCIANO LE CHIESE.
La trasfigurazione dell’esperienza onirica infusa nelle tenebre più assolute e la full-immersion in una sorta di supplizio dell’anima sono sempre state peculiarità innate del gruppo originario del nebuloso e funereo Yorkshire il quale, con ‘The Angel And The Dark River’, giunge a ledere persino la serenità di coloro che ostentavano inattaccabilità per quel che concerne l’equilibrio emozionale. Proprio lo spingere suggestioni e trepidazioni agli estremi oltraggiando la sensibilità di qualsivoglia essere, rende il presente platter assolutamente unico e degno di raffigurare il sigillo definitivo della dark music moderna.
Guizzo, scossa, trasalimento. Un sussulto continuo dipinto meravigliosamente nei mesti e tragici dodici minuti di ‘The Cry Of Mankind’, dove il recitante Aaron Stainthorpe declama accoratamente il tappeto di note elargite dagli arcani intrecci tra corde ipnotiche e strepitosamente gothic dell’accoppiata Andy Craighan / Calvin Robertshaw, sovrastati dall’estro di Martin Powell che ci assale con una cornice pianofortistica di profondità assoluta. Il cielo si fa sempre più plumbeo con ‘From The Darkest Skies’ dove domina il violino, soffio vitale ed emblema della prima parte di carriera della band e accantonato subito dopo la dipartita di Powell che ci strazia pure con solenni e vampiresche creazioni tastieristiche.La fitta oscurità si impadronisce del palcoscenico con ‘Black Voyage’ che appaga completamente gli adepti del gothic-doom, diventandone un classico imperdibile. Suggestivo il pulsante break basso/voce allucinata, che reca al congedo del motivo in una jam simil-sabbathiana. Gli apocalittici scenari di ‘A Sea To Suffer In’ e ‘Two Winters Only’ sarebbero degne di accompagnare tragedie del rango del ‘Prometeo Incatenato’ di Eschilo o ‘Medea’ di Euripide tanto gli echi si ostentano così profondamente drammatici, mentre una decisa reazione collerica è presente in ‘Your Shameful Heaven’, dove uno scavato e stordente riff d’acciaio rammenta che i nostri sono ancora in grado di aggredire, pur sempre rimanendo incastonati nella cappa inviolabile della più penetrante assenza di luce. Si ripiomba nel vortice del doom più insalubre nella bonus track ‘The Sexuality Of Bereavement’ che reca un intimo bisogno di classicità e rappresentante la catena di congiunzione col materiale precedentemente concepito, coadiuvato dalla manifestazione dei vocalizzi death che, per scelte di natura propriamente scenica, erano stati banditi dal resto dell’opera.
Ciò che colpisce e ferisce è l’assoluta mancanza di una sola, misera nota che rechi colore positivo o riconduca ad una qualsiasi forma di chiarore o energia benevola. Tutto è concepito per riprodurre, anzi, per inscenare tangibilmente una rappresentazione di tragica e luttuosa entità. Vessillo assoluto per il gothic-doom degli anni novanta ‘The Angel And The Dark River’ figura una tenue escursione nella profondità della psiche umana che plana dal tormento incondizionato sino ad arrivare alla pacata e terminale pace dei sensi.
MA SIAMO DIVENTATI PER CASO EUFORICAMENTE E SIBILLAMENTE DEGLI SCEMI BOSCHIVI?!?!!?!??!